I problemi connessi alla filtrazione delle polveri sono generalmente così complessi che richiedono, da parte del costruttore, una profonda conoscenza del processo e del contesto impiantistico nel quale viene inserito il filtro depolveratore. I fattori che infatti determinano una corretta selezione del filtro sono molteplici e ciascuno di essi gioca di volta in volta un ruolo diverso in funzione sia delle caratteristiche chimico-fisiche delle polveri (quali peso specifico, volatilità, scorrevolezza, tendenza ad impaccarsi, abrasività) che della distribuzione granulometrica, della concentrazione di polvere per metro cubo di aria, della temperatura e dell’umidità. Non è quindi corretto schematizzare, come spesso avviene, in una semplice formula il dimensionamento di un filtro depolveratore.
Altro elemento caratteristico di un filtro depolveratore è il ‘mezzo filtrante’ il cui corretto impiego è determinante ai fini della funzionalità e dell’affidabilità dell’apparecchiatura. Normalmente, per valori di temperature inferiori a 120°C, si usano feltri agugliati in poliestere con grammatura da 450 a 550 gr/m2; ma se l’aeriforme è chimicamente aggressivo o se si è in presenza di temperature superiori ai 120°C, allora si ricorre all’impego di fibre sintetiche particolari quali Nomex, Teflon, fibre di vetro, ecc.
La opportuna combinazione quindi di un corretto dimensionamento, del mezzo filtrante più idoneo e di un efficiente sistema di pulizia dei pannelli, determina il rendimento del filtro che in alcuni casi può arrivare a valori del 99,98%.
I filtri costruiti sono del tipo a pulizia con getti in controcorrente di aria compressa secca e disoleata. L’estrazione dei pannelli avviene dalla ‘camera pulita’ in modo che l’operatore non venga mai a contatto con la zona polverosa in caso di manutenzione. Un quadretto elettronico, montato sui filtri, sovraintende alle fasi di pulizia dei pannelli regolando i cicli di lavaggio sia come sequenze tra un ciclo e l’altro, sia come durata della singola “soffiata”.

